Giustizia: convertito il Dl anti-terrorismo; più controllo e monitoraggio dei siti informatici

di Giuseppe Amato

Il Sole 24 Ore, 27 aprile 2015

È stato convertito, con modificazioni, il decreto legge 18 febbraio 2015 n. 7, diretto a rafforzare gli strumenti di lotta contro i fenomeni di terrorismo internazionale. Non particolarmente significative sono le modifiche che hanno caratterizzato gli interventi in materia sanzionatoria penale. Infatti, a parte alcuni correttivi, le novità sono per lo più ispirate all’esigenza di puntualizzazione delle fattispecie incriminatrici ovvero a realizzare una migliore specificazione dell’ambito dei poteri di controllo anche preventivo sui siti informatici, ampliando gli strumenti di contrasto anche in via preventiva delle attività terroristiche.

Integrazione delle misure di prevenzione e contrasto delle attività terroristiche. Di rilievo, per la prevenzione e il contrasto delle condotte strumentali all’attività terroristica che prevedano l’utilizzo degli strumenti informatici e telematici, vuoi direttamente per lo svolgimento dell’attività di cui all’articolo 270-bis del Cp, vuoi per le attività di pubblicizzazione, istigazione, apologia, reclutamento e simili, è la previsione di un sistema di costante monitoraggio dei siti utilizzati per tali attività.

Un ruolo cardine è attribuito alla polizia postale che, giusta il disposto dell’articolo 2, comma 2, della legge in esame, è onerata del compito di predisporre l’elenco di questi siti, costantemente aggiornato, utilizzabile anche per le operazioni sotto copertura previste, per il contrasto dei delitti commessi con finalità di terrorismo, dall’articolo 9, comma 1, lettera b), della legge 16 marzo 2006 n. 146. Trattasi di un’attività di monitoraggio e raccolta utile sotto diversi profili.

Certamente perché, proprio nell’ambito delle operazioni sotto copertura di contrasto del terrorismo, cui sono deputati gli “organismi investigativi della Polizia di Stato e dell’Arma dei carabinieri specializzati nell’attività di contrasto al terrorismo e all’eversione e del Corpo della Guardia di finanza competenti nelle attività di contrasto al finanziamento del terrorismo” (si veda articolo 9, comma 1, lettera b), della legge n. 146 del 2006), tra le attività facoltizzate per acquisire elementi di prova in ordine ai delitti commessi con finalità di terrorismo, rientra anche quella di “attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione” mediante l’utilizzo di “indicazioni di copertura” (articolo 9, comma 2, della legge n. 146 del 2006).

In realtà, l’utilità di tale attività va al di là delle operazioni sotto copertura, perché costituisce già di per sé strumento direttamente utilizzabile sia probatoriamente, per acquisire elementi spendibili in sede di investigazione, sia in via genericamente preventiva, per attivare una attività di interdizione dei siti utilizzati a fini di supporto del terrorismo.

Le iniziative di contrasto informatico – Sotto quest’ultimo profilo, rilevanti, ma non sempre immediatamente chiare, sono le disposizioni contenute nei commi 3 e 4 dello stesso articolo 2 della legge di conversione. Il testo definitivo presenta, in vero, qualche modifica rispetto a quello dell’intervento di urgenza, ma restano alcuni dubbi interpretativi. Con la prima di queste disposizioni, è previsto l’obbligo per i fornitori di connettività di inibire, mediante gli opportuni strumenti di filtraggio, l’accesso ai siti come sopra individuati su disposizione dell’autorità giudiziaria procedente (la formula consente di ricomprendervi, in caso di indagini preliminari, lo stesso pubblico ministero).

Non è però molto chiaro il contesto dell’intervento. Il riferimento all’autorità giudiziaria presuppone che vi sia in corso un procedimento penale e allora non si comprende quale spazio autonomo possa avere la disposizione a fronte di quanto previsto nel successivo comma 4. Del resto, l’intervento, come risulta palese dalla lettura combinata dei commi 2 e 3 dell’articolo 2 della legge in commento, può riguardare solo i siti “utilizzati per le attività e le condotte di cui agli articoli 270-bis e 270-sexies del Cp”: ergo, ci si riferisce a situazioni in cui già in sede penale si procede per il reato di cui all’articolo 270-bis del Cp, in un contesto in cui, quindi, può utilizzarsi il più incisivo strumentario previsto dal comma 4 dello stesso articolo 2 della legge in esame.

Ciò tacendo dal rilevare che la previsione normativa non dettaglia neppure le conseguenze che dovrebbe derivare a carico di chi contravvenga all’ordine di inibizione adottato dall’autorità giudiziaria; non potendosi in proposito richiamare per coerenza sistematica la sanzione amministrativa prevista dall’articolo 14-quater della legge 3 agosto 1998 n. 269.

Molto più convincente ed efficace risulta, invece, la seconda previsione normativa, appunto contenuta nel comma 4 dell’articolo 2 della legge, laddove è attributo al pubblico ministero che procede per i delitti di cui agli articoli 270-bis, 270-ter, 270-quater e 270-quinquies del Cp, commessi con finalità di terrorismo, di ordinare, con decreto motivato, ai fornitori dei servizi di hosting o ai soggetti che comunque forniscono servizi di immissione e gestione, la rimozione del contenuto reso accessibile al pubblico allorquando sussistano concreti elementi che consentano di ritenere che le attività incriminate siano commesse proprio anche per via telematica.

L’ordine deve essere adempiuto immediatamente e comunque entro quarantotto ore, mentre, in caso di inosservanza, l’autorità giudiziaria può provvedere a disporre l’interdizione al dominio internet nelle forme e con le modalità del sequestro preventivo (articolo 321 del Cpp).

Ciò significa che, mediante il ricorso al sequestro preventivo, è possibile anche l’oscuramento di un sito web, con l’unica eccezione che si tratti della pagina web di una testata giornalistica telematica regolarmente registrata (in tal senso, oltre che nella stessa relazione di accompagnamento, anche la sentenza delle sezioni Unite, 29 gennaio 2015, Fazzo e altro, a oggi ancora non depositata, ma la cui anticipazione è nel senso che non è possibile, fuori dei casi previsti dalla legge, il sequestro preventivo della pagina web di una testata giornalistica telematica registrata, evidentemente dovendosi valorizzare l’applicazione anche a tali prodotti editoriali, in applicazione dell’articolo 21 della Costituzione, delle guarentigie previste per la stampa).

In definitiva, la disposizione normativa, ponendosi in linea con la giurisprudenza prevalente (recepita dalla citata decisione delle sezioni Unite), conferma che gli spazi comunicativi sul web, non essendo giornali, non godono della speciale protezione prevista per la libertà di stampa. Ciò sul rilievo che l’articolo 21 della Costituzione, dopo l’affermazione di carattere generale sulla libertà di manifestazione del pensiero, riserva la disposizione limitativa sul sequestro alla sola manifestazione del pensiero che avvenga attraverso la stampa.

Conseguentemente non trova applicazione per blog, mailing list, chat, newsletter, e-mail, newsgroup, messaggi istantanei, ecc. la tutela costituzionale di cui al comma 3 dell’articolo 21 della Costituzione, e i suddetti siti sono quindi certamente sequestrabili. Ne consegue l’ammissibilità del sequestro preventivo (mediante oscuramento), qui nel caso in cui il contenuto sia ritenuto strumentale alla commissione di delitti con finalità di terrorismo.

Unica eccezione a questo potere d’intervento riguarda i giornali telematici, regolarmente registrati (in questo senso, come detto, anche la citata decisione delle sezioni Unite). Le garanzie costituzionali previste dall’articolo 21, terzo comma, della Costituzione e dalle norme attuative della legge ordinaria (articoli 1 e 2 del Rdl 31 maggio 1946 n. 561), in tema sequestro della stampa, sono quindi estensibili ai giornali telematici, editi mediante tecnologia elettronica e diffusi attraverso la rete, con la conseguenza che il riconosciuto generale divieto del sequestro preventivo della stampa (essendo ammesso dalla richiamata normativa solo il sequestro probatorio nei casi di stampa clandestina e delle pubblicazioni oscene) deve valere anche per la stampa telematica, in ossequio al principio della libertà di manifestazione del pensiero.

Un’importante modifica, in sede di conversione, ha caratterizzato l’ambito di operatività di tale incisivo potere di intervento. Si prevede, in ossequio al principio di proporzione e adeguatezza, che l’interdizione e la rimozione dei contenuti debbano essere disposte solo nei limiti di quanto necessario, senza inutili eccessi.

Cosicché, viene previsto che i provvedimenti cautelari interdittivi, laddove tecnicamente possibile, debbano garantire la fruizione dei contenuti presenti sul sito che siano estranei alle condotte illecite, derivandone, per l’effetto, che laddove sufficiente, la stessa rimozione dei contenuti debba limitarsi a quelli illeciti, quando il sito sia riconducibile a terzi estranei alle attività incriminate (articolo 2, comma 4, della legge in esame).

La legge di conversione si caratterizza per due ulteriori specificazioni.

La prima riguarda l’indicazione (preferenziale) degli organi di polizia deputati ad attivare tale strumentario: si precisa che l’autorità giudiziaria procedente debba avvalersi preferibilmente della polizia postale. La formulazione della norma, proprio con l’utilizzazione dell’avverbio “preferibilmente”, non ha una significativa valenza precettiva e, in tutta probabilità, proprio per tale ragione, la modifica specificativa è inutile.

La seconda riguarda il sistema di controllo pubblico sulle attività di monitoraggio, realizzata attraverso la previsione che dei provvedimenti adottati, sia di monitoraggio dei siti che di interdizione e di rimozione, debba darsi notizia in un’apposita sezione della relazione che il ministro dell’Interno presenta annualmente al Parlamento una relazione sull’attività delle forze di polizia e sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica nel territorio nazionale (è la relazione prevista dall’articolo 113 della legge 1° aprile 1981 n. 121).

Sembra evidente che tale notizia debba essere limitata alle attività ostensibili, rispetto alle quali, cioè, non ostino esigenze investigative. Pur nel silenzio della norma, deve ritenersi infatti che i provvedimenti adottati nell’ambito di procedimenti penali, possano essere menzionati solo previo il nulla osta dell’autorità giudiziaria procedente, a meno che non ci si limiti a una elencazione generica rilevante solo a fini statistici. L’inserimento dei dati nella relazione annuale è stato previsto, in sede di conversione, anche per l’elenco della black list dei siti monitorati dalla polizia postale, secondo la disciplina dettagliata nel sopra richiamato articolo 2, comma 2.

Le intercettazioni preventive. In un’ottica squisitamente di prevenzione, si segnala un intervento ampliativo realizzato, con l’articolo 2, comma 1-quater, della legge in commento, sulla disciplina delle intercettazioni preventive (articolo 226 del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271).

Di immediato rilievo è la previsione ampliativa dei presupposti per attivare lo strumento intercettivo (introdotta dall’articolo 2, comma 1-quater, della legge in esame, che sul punto innova il disposto del comma 1 dell’articolo 226): ne è consentito il ricorso non più solo quando sia necessario per l’acquisizione di notizie concernenti la prevenzione dei delitti di cui agli articoli 407, comma 2, lettera a), e 51, comma 3-bis, del Cpp, ma anche quando tale necessità acquisitiva riguardi i delitti di cui all’articolo 51, comma 3-quater, del codice di procedura penale (si tratta dei delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo), se commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche.

La previsione assume particolare rilievo con riferimento ai reati di cui agli articoli 270-quater, 270-quater.1, e 270-quinquies del Cp, se e in quanto commessi con le modalità e i mezzi sopra indicati.

Viene inoltre prevista la possibilità per il procuratore di autorizzare, per un periodo comunque non superiore a ventiquattro mesi, la conservazione dei dati acquisiti, anche relativi al traffico telematico: ciò in deroga alla previsione generale, contenuta nel comma 3 dell’articolo 226, secondo cui va ordinariamente disposta l’immediata distruzione dei supporti e dei verbali delle operazioni intercettive.

Infine, nella consapevolezza delle difficoltà connesse alle esigenze di traduzione delle attività intercettate, è stabilita l’estensione a dieci giorni del termine, ordinariamente fissato in cinque giorni, per il deposito presso il procuratore che ha autorizzato le operazioni intercettive del verbale e dei supporti, quando appunto emergono problematiche connesse alla traduzione delle conversazioni.